Ancora contro il DSM-5 per una nuova
psichiatria
GIOVANNA REZZONI
NOTE E NOTIZIE - Anno XVI – 15
giugno 2019.
Testi
pubblicati sul sito www.brainmindlife.org della Società Nazionale di
Neuroscienze “Brain, Mind & Life - Italia”
(BM&L-Italia). Oltre a notizie o commenti relativi a fatti ed eventi
rilevanti per la Società, la sezione “note e notizie” presenta settimanalmente
lavori neuroscientifici selezionati fra quelli pubblicati o in corso di
pubblicazione sulle maggiori riviste e il cui argomento è oggetto di studio dei
soci componenti lo staff dei
recensori della Commissione Scientifica
della Società.
[Tipologia del testo: DISCUSSIONE/AGGIORNAMENTO]
Proseguendo
la discussione della scorsa settimana[1], si è sottolineata la contraddizione fra i progressi
nelle conoscenze neuroscientifiche, che potenzialmente consentono di sviluppare
diagnosi sempre più aderenti alle peculiarità del processo neuropatologico, e
la deriva diagnostica che si rileva nel DSM-5, sempre più lontano dalla
concezione medica della diagnosi e sempre più sui generis nel far rientrare fra i disturbi mentali categorie di
disagio sociale, come il basso stipendio, e di difficoltà esistenziale, come
vivere da soli. Fra le nuove categorie proposte dalla commissione in anteprima
già nel 2012, vi erano il Gambling Disorder, il Binge Eating Disorder, l’Hypersexual Disorder e l’Absexual Disorder. A proposito di quest’ultimo disturbo, il nostro
presidente ha osservato: «La diagnosi si formula su questa base: sentirsi eccitati allontanandosi
dalla sessualità o comportarsi come se moralisticamente opposti alle esperienze
sessuali. Il commento a questa nuova categoria diagnostica che Betty Dodson, docente di educazione sessuale, ha rilasciato al
giornale canadese Xtra!West
è molto eloquente: “gente che ha smesso di lamentarsi del sesso e prova a
censurare il porno”»[2].
Ma gli argomenti critici di maggior rilievo sulle nuove categorie
proposti alla discussione, si ritrovano tutti in questo brano della quinta
parte del “Viaggio”:
«La
critica all’introduzione di queste categorie, fondate sulla caratterizzazione comportamentale di una
condotta facilmente riconoscibile,
stabile e spesso gravemente condizionante la vita di chi ne sia affetto, non
riguarda solo e tanto l’opportunità di conferire dignità di disturbo
indipendente a ciascuna di esse, ma è più radicale e sostanziale, perché
attiene al fondamento stesso dei criteri di diagnosi in psichiatria.
C’è da
chiedersi, infatti, se la descrizione per il riconoscimento di una tipologia
comportamentale costituisca una “diagnosi” o semplicemente una categoria di una
tassonomia simile a quelle tipiche delle scienze naturali: i mammiferi hanno un
corpo ricoperto di peli, partoriscono ed allattano i propri piccoli, e così
via, mentre gli uccelli hanno il corpo ricoperto di piume, depongono le uova,
eccetera. Il fine di queste classificazioni è la distinzione tipologica, mentre
lo scopo della diagnosi è l’esercizio degli atti della professione medica che
da questa dipendono, e che includono le scelte terapeutiche, la valutazione
prognostica, l’assunzione di misure per la profilassi delle conseguenze e
dell’aggravamento, e così via; ossia un insieme di procedure volte a
determinare la guarigione del paziente o, quando questo non sia possibile, un
miglioramento del suo quadro clinico e delle sue condizioni di vita.
La
diagnosi in psichiatria, pur nel suo lungo e difficile percorso verso una meta
di procedura scientifica, tende, come quella in medicina e chirurgia, a
realizzare un’applicazione delle conoscenze scientifiche relative alla
patologia; pertanto, definire categorie diagnostiche in base all’apparenza
superficiale dei caratteri di una condotta, vuol dire andare in direzione
opposta.
Mi si
perdoni, allora, se ritorno sul concetto di diagnosi in medicina e, per
traslato, in psichiatria: diagnosticare vuol dire impiegare procedure
scientifiche per passare attraverso manifestazioni esteriori ritenute
significative (segni e sintomi) sulla base di scienza ed esperienza pregresse,
e giungere a determinare i processi e gli elementi causali alla base dello
stato di alterazione presente in un determinato paziente. Tutto ciò, come
abbiamo visto, allo scopo di ristabilirne la condizione di salute e, più
specificamente in psichiatria, di equilibrio psico-fisico. La diagnosi è, in
questo senso, un’operazione che consente l’applicazione al singolo caso della
conoscenza scientifica acquisita nel settore della patologia molecolare,
cellulare e dei sistemi, relativa a quel disturbo.
Se
rileviamo deliri ed allucinazioni in un paziente
disorientato nel tempo e nello spazio, che ha subito da poco un intervento
chirurgico di asportazione di un tratto significativo di intestino, sulla base
di una consolidata conoscenza patogenetica, ci orienteremo per uno squilibrio idroelettrolitico che ha influito sulla perfusione
cerebrale causando i sintomi; se le due manifestazioni insorgono, invece, in un
quadro persistente di eloquio, pensiero e comportamento alogici e
disorganizzati, con anaffettività, abulia, strane
posture e movimenti stereotipati, ci si orienta per una possibile psicosi
schizofrenica; se, infine, all’anamnesi di una persona priva di qualsiasi altra
manifestazione significativa risulta l’assunzione di sostanze cosiddette psicosomimetiche, quali LSD, mescalina, psilocibina o prodotti
di sintesi, i due sintomi possono costituire un effetto temporaneo della
sostanza. Questi esempi un po’ elementari, si riferiscono ad una procedura
razionale basata su risultati della ricerca scientifica che ha riconosciuto
nella fisiopatologia derivante da un intervento chirurgico, nel fenotipo
cerebrale di varie predisposizioni genetiche e nell’effetto tossico di sostanze
psicotrope sul cervello, processi in grado di causare lo sviluppo dei due
sintomi in questione.
Negli
esempi citati, gli stessi due sintomi fanno parte di quadri clinici diversi,
generati da processi patologici diversi, come spesso accade. E’ proprio la
patogenesi, desunta dallo studio clinico, a permettere di attribuire ai deliri
e alle allucinazioni di questi pazienti un significato differente, e a
consentire di diagnosticare ciascuno dei tre disturbi secondo la sua
definizione nosografica. Alla categoria diagnostica si giunge attraverso una
ricostruzione della patologia sottostante la fenomenica obiettivamente rilevata
e soggettivamente esperita, che costituisce l’emergenza clinica.
Questo
modo di procedere clinico che in medicina corrisponde, ad esempio, alla
distinzione fra un ittero emolitico ed un ittero ostruttivo, fra retinopatia
ipertensiva e retinopatia diabetica, asma respiratorio ed asma cardiaco,
dovrebbe costituire un riferimento per le diagnosi psichiatriche, ma anche per
la definizione delle nuove categorie psicopatologiche. Oggi, infatti, in
medicina e chirurgia si tende a creare nuove tipologie nosografiche solo quando
vi sia la prova o il fondato sospetto di trovarsi di fronte ad una entità che
per eziopatogenesi, o almeno per fisiopatologia, presenti una sua individualità
che merita di essere distinta, o per una ragione scientifica (es.: sindromi
simili causate da geni diversi con diversa ereditarietà) o per una utilità
clinica (es.: una forma che, rispetto ad altre con le stesse cause, evolva con
un decorso sui generis e una prognosi
diversa).
Ritornando
alle citate quattro sindromi aggiunte nel DSM-5 e, in particolare, al Disturbo da Gioco d’Azzardo, si può
facilmente rilevare che il criterio seguito va in direzione opposta a quella
della sempre maggiore scientificità della diagnosi in medicina. Come abbiamo
visto, l’elemento fisiopatologico caratteristico, ossia l’attivazione dei
circuiti della VTA, è comune alle altre forme di dipendenza e, d’altra parte,
la creazione di una specifica categoria non ha giustificazione nemmeno in una
modalità di cura diversa. Le strategie di trattamento sono identiche e si
basano sempre sull’allontanamento dalla fonte della dipendenza, magari in
circostanze costantemente condizionanti, come la vita in una comunità
terapeutica o la condivisione delle regole in un gruppo di trattamento.
Infatti, la maggior parte dei casi di dipendenza da sesso, alcool, droghe e
azzardo, trattati con successo, ha tratto giovamento da un regime terapeutico
che ha impegnato le risorse psicofisiche del paziente in condizioni di vita
ordinarie e in grado di ristabilire l’efficacia dei sistemi di rinforzo fisiologici,
come la gratificazione derivante dalla consapevolezza del lavoro compiuto e
dall’apprezzamento altrui.
Se credo
che molti non avranno dubbi a classificare fra i “nuovi errori” del DSM-5
queste nuove categorie, personalmente sono tentato di considerarle fra i
“vecchi limiti”. Infatti, il problema del senso delle categorie diagnostiche
del DSM rispetto alla concezione medica della diagnosi non è nuovo. Nel 1980 il
DSM III includeva nella sua classificazione il Disturbo Post-Traumatico da
Stress (PTSD, da Post Traumatic
Stress Disorder) in due forme, acuta e cronica,
ma questo risultato, dopo anni di interminabili dibattiti e contese, ad alcuni
membri del board dell’APA parve un
miraggio, perché le sindromi proposte e strenuamente difese erano oltre una
decina.
In realtà,
le scoperte sulla fisiopatologia dello stress
grave hanno riportato le manifestazioni del PTSD ad un paio di meccanismi,
quali l’attivazione da parte dei neuroni dell’amigdala dell’asse
CRH-ACTH-cortisolo e l’innesco di un cortocircuito che porta il locus coeruleus
a riattivare continuamente i meccanismi di stress-paura,
come se fosse costantemente presente e rinnovata una minaccia per l’integrità
dell’organismo.
Eppure,
molti membri dell’APA sostenevano l’opportunità di creare tante diverse
sindromi per quante esperienze umane fosse possibile caratterizzare in
quell’ambito. Così alcuni proposero una “Vietnam Syndrome”,
altri una “Post-Rape Syndrome”, altri ancora vari
disturbi indicati dall’eponimo di luoghi in cui si erano verificate calamità
naturali, guerre, disastri aerei o ferroviari.
Fra i
sostenitori di questo splitting
(per inciso, ricordo che gli psichiatri nosografisti
negli USA sono convenzionalmente e gergalmente distinti in splitters, termine col quale si
indicano i sostenitori di una eccessiva divisione in sotto-categorie
diagnostiche, e lumpers,
termine col quale si indicano coloro che tendono ad accorpare in pochi quadri
tutti i disturbi) vi fu chi giunse a sostenere la fondatezza di categorie
distinte per i disastri aerei, ferroviari, da terremoto o da guerra, invocando,
a sproposito, una presunta tesi del grande nosografista
Kraepelin. In realtà, nella sua monumentale opera del
1896, lo psichiatra tedesco aveva introdotto la Schreckneurose o Nevrosi
da Spavento descrivendola come una condizione “composta da molti fenomeni
nervosi e psichici insorgenti come risultato di un grave sconvolgimento
emozionale o di un improvviso spavento che abbia accumulato grande ansietà; può
perciò essere osservata dopo gravi incidenti e danni, particolarmente incendi,
deragliamenti e collisioni ferroviarie.” (Kraepelin, Psychiatrie,
1896/1985, p. 737).
Un ruolo
decisivo, nell’opposizione allo splitting del PTSD, lo ebbe Nancy Andreasen
che, con un gruppo di altri psichiatri, ingaggiò una vera e propria battaglia
per non rischiare, con un’eccessiva frammentazione psicologistica, di perdere
l’unità fisiopatologica del danno, riducendo le tante categorie a piccole
sindromi in grado soltanto di mettere in relazione il vissuto soggettivo con
particolari potenzialità traumatiche convenzionalmente riconosciute ad un
particolare evento.
Nel caso
dei quattro nuovi disturbi menzionati, nel board
del DSM-5, evidentemente, hanno prevalso gli splitters»[3].
L’autrice della nota ringrazia
la dottoressa Isabella Floriani per la correzione
della bozza e invita alla
lettura dei numerosi scritti di argomento connesso che appaiono nella sezione
“NOTE E NOTIZIE” del sito (utilizzare il motore interno nella pagina “CERCA”).
Giovanna Rezzoni
BM&L-15 giugno 2019
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scientifica e culturale non-profit.
[1]
Note
e Notizie 08-06-19 Contro il DSM-5 per una nuova psichiatria.
[2] Note e Notizie 22-09-12 Viaggio nel DSM-5: interessanti cambiamenti, nuovi errori e vecchi limiti – quarta parte.
[3] Note e Notizie 29-09-12 Viaggio nel DSM-5: interessanti cambiamenti,
nuovi errori e vecchi limiti – quinta
parte.